venerdì 11 giugno 2010


Cenni Storici sull'infanticidio


 

L'uccisione e l'abbandono dei neonati non sono tipici della nostra civiltà, anzi nel passato sono stati praticati pressoché ovunque.

Nei resti dell'antica città di Gerico sono state trovate testimonianze archeologiche di sacrifici umani, compresi i resti di vari neonati, che sono state fatte risalire a circa 7000 anni prima della nascita di Cristo (1).

Le prime notizie sull'abbandono e sull'uccisione degli infanti risalgono alla civiltà assira (III millennio a.C.): pare che il Re Sarago I fosse stato generato da una sacerdotessa la quale, poiché per impedimento di rito non poteva tenere presso di sé i figli, lo aveva abbandonato presso un ruscello.

Più o meno contemporaneo è poi l'episodio di Mosè, discendente della tribù di Israele ma, secondo alcuni autori, figlio illegittimo di una sorella del Faraone regnante; risulta d'altronde che in Egitto i neonati troppo deboli o affetti da malformazioni venivano soppressi, cosa che notoriamente avveniva a Sparta, dove tuttavia era la comunità a decidere della morte.

Il sacrificio degli infanti mediante la loro esposizione agli elementi atmosferici, allo scopo di allontanare gli spiriti maligni o di ingraziarsi gli dei, è stato praticato in maniera sistematica da varie popolazioni antiche quali i Vichinghi, i Celti, i Galli e i Fenici.

In India e in Cina, l'infanticidio era praticato sin dai tempi antichissimi ed in particolare perpetrato nei confronti delle neonate.

Nell'antica Roma, il pater familias esercitava lo <<ius vitae ac necis>> su tutti i nati (2).

Era tradizione, infatti, che l'ostetrica che aveva fatto nascere il bambino, subito dopo averlo lavato, lo ponesse a terra davanti ai piedi del padre.

Questo era l'unico a poter decidere se tenere il figlio; in tal caso lo sollevava in alto tra le sue braccia se maschio, oppure lo consegnava alla madre, se femmina. Se la scelta era il rifiuto del nuovo nato, il pater familias ordinava all'ostetrica di ucciderlo.

Altre volte il padre, pur avendo deciso di disfarsi del bimbo, ma non avendo il coraggio di farlo uccidere, ordinava che fosse messo fuori della porta di casa, oppure che fosse portato nel mercato dove esisteva una colonna apposita, detta «lattaria», sotto la quale erano lasciati i neonati rifiutati. Questa crudele consuetudine, detta «esposizione», spesso equivaleva ad una vera e propria condanna a morte per il neonato, se non c'era nessuno disposto ad accoglierlo nella propria casa ed allevarlo.

Varie potevano essere le ragioni che spingevano un padre a decidere sulla sorte del neonato; talora lo esponeva o lo faceva uccidere perché deforme oppure perché di sesso femminile; nella famiglia romana, infatti, non veniva quasi mai allevata più di una figlia femmina.

Nei ceti subalterni, si trattava di motivazioni puramente economiche, mentre in quelli più agiati l'infanticidio nasceva dal desiderio di limitare il numero dei figli, allevando ed educando principalmente i maschi, sì da dar loro una maggiore possibilità di successo nella vita sociale e politica ed evitare problemi futuri di eredità.

L'esposizione e l'uccisione dei neonati indesiderati o deformi è presente prima ancora che nella cultura romana, in quella greca (3).

Nell'antica Grecia, infatti, se non era riconosciuto dal padre come legittimo o se la famiglia non aveva i mezzi per mantenerlo, il neonato veniva esposto. Era tradizione che i neonati rifiutati fossero esposti nel mercato, dentro una grossa pentola contenente anche un oggetto appartenente alla famiglia di origine, che avrebbe consentito di riconoscerli, in seguito.

A Sparta esisteva addirittura una legge che obbligava i genitori dei bambini nati gracili o deformi, ad abbandonarli sul monte Taigreto.

Dunque nelle società greca e romana l'esposizione e l'infanticidio erano praticati impunemente ed erano molto frequenti.

Solo nel 318 d.C. l'imperatore Costantino, subito dopo la sua conversione al Cristianesimo, promulgò due leggi destinate a ridurre il numero degli abbandoni o degli infanticidi.

La prima legge creava un fondo con soldi provenienti dal tesoro imperiale, destinato alle famiglie con molti figli; la seconda concedeva tutti i diritti di proprietà sui neonati esposti a coloro che li avessero salvati ed allevati.

Successivamente Valentiniano I, Valente e Graziano, tramite vari editti, trasformarono l'infanticidio in un delitto punibile con la morte.

Scorrendo rapidamente i secoli, si arriva all'alto Medioevo, del quale le poche e frammentarie notizie che ci interessano possono essere rinvenute in alcuni documenti che hanno resistito al tempo.

I neonati erano esposti ed uccisi anche in quest'epoca per i motivi più disparati: presagi infausti, adulteri, incesti, gelosie e rivalità; erano abbandonati un po' ovunque, nei boschi, lungo le strade, davanti alle chiese.

Nei secoli compresi tra il VII e il XIII, invece, si può presumere che l'infanticidio e l'abbandono siano sensibilmente diminuiti dal grande aumento del tasso demografico registrato in questo periodo, legato sia ad un assetto sociale più equilibrato che al miglioramento delle condizioni economiche, anche delle classi meno abbienti (4).

Alla fine del secolo XIII, però, ripresero in gran numero sia gli abbandoni sia gli infanticidi, complici la nuova povertà e l'instabilità sociale determinate dalle pestilenze e dalle guerre.

Boccaccio in una sua novella così tratteggia il futuro dei tanti neonati abbandonati del tempo: «Quanti parti, mal loro guardo venuti a bene, nelle braccia della fortuna si gittano! Quanti ancora, prima che essi il latte materno abbino gustato, se n'uccidono. Quanti ai boschi, quanti alle fiere se ne concedono e agli uccelli!» (5).

È in questo contesto storico che, nel tentativo di arginare il fenomeno ed offrire accoglienza ai neonati abbandonati, cominciarono a sorgere un po' in tutta Europa specifiche istituzioni di raccolta; è il caso della Confraternita della Misericordia di Firenze istituita alla fine del 1300.

Nascono anche gli «spedali» come quello degli Innocenti, istituito nell'anno 1484 sempre a Firenze, sotto la tutela della potente Arte della seta, o, più tardi, quello di Milano, aperto nel 1787, e l'ospedale dei trovatelli di Londra, reso celebre dai romanzi di Dickens, aperto nel 1741.

Inoltre in molte chiese ed ospedali è istituita la cosiddetta «ruota degli esposti», grazie alla quale le madri o i padri che volevano abbandonare il loro neonato, lo potevano fare in perfetto anonimato.

Le ruote degli esposti rimarranno aperte in Italia fino al 1923, anno in cui una legge ne decreterà la chiusura, anche se, già dalla seconda metà dell'Ottocento, ne era iniziata la lenta e progressiva abolizione.

Per quanto riguarda, invece, il resto dell'Europa, l'infanticidio è stato un crimine molto diffuso, come dimostrano i tanti documenti pervenutici ancora intatti, che ci permettono anche di quantificarne la frequenza.

Ad esempio, un'analisi dettagliata degli archivi della corte e della prigione di Norimberga, ha permesso di accertare che dal 1513 al 1777 ben ottantasette sono state le condanne a morte eseguite per infanticidio, nella sola città di Norimberga (6).

Un'altra testimonianza indiretta ci deriva dalla lettura dei vari decreti che le «autorità costituite» un po' in tutta Europa avevano escogitato per contrastare questo crimine.

La maggior parte dei neonati dell'epoca moriva per soffocamento, schiacciati sotto il corpo dei genitori durante il sonno. Spesso, però, le circostanze lasciavano negli inquirenti il sospetto sulla volontarietà dei genitori e nel contempo appariva impossibile dimostrare, a posteriori, l'esistenza di una premeditazione; per questo molti di tali infanticidi restavano impuniti.

Si possono così comprendere alcune leggi, come quella emanata dal Vescovo di Fiesole e Firenze, che stabilì sanzioni per i genitori che tenevano i bambini nel loro letto mentre dormivano, o il decreto austriaco del 1784, che proibiva ai genitori di tenere nel letto i bambini di meno di due anni d'età.

Tornando all'Italia, la prima vera testimonianza diretta dell'enorme frequenza degli infanticidi si può ricavare dall'analisi dei fascicoli processuali e delle sentenze delle Corti d'Assise di fine Ottocento (7).

La lettura di questi atti ci permette anche di chiarire chi fossero le madri infanticide dell'epoca, per lo più donne giovani, analfabete, o semianalfabete, provenienti dalla provincia, sedotte con la promessa di un matrimonio e poi abbandonate.

Infine, nel nostro secolo l'infanticidio può essere analizzato attraverso la lettura degli «Annuari statistico-giudiziari» dell'ISTAT.


 


 


 


 


 


 


 


 


 

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